di Elisabetta Casale
La cosmesi punta al green e alla sostenibilità, il mercato è in crescita e le aziende non stanno ad aspettare. Ma siamo diventati veramente più sensibili e attenti alla salvaguardia del nostro pianeta?
I dati direbbero di sì. Nel Beauty Report 2018 di Cosmetica Italia, si legge che il fatturato del settore cosmetico nel nostro Paese ha sfiorato gli 11 miliardi di euro (+3,9% su 2016) e la crescita per il 2018 è stimata al 4,5 per cento. E quello del “green” ha raggiunto il miliardo e 100 milioni di euro, mentre a livello globale il valore del mercato dei prodotti di bellezza “naturali” è di 45,8 miliardi di euro. Quindi ci aspetta un futuro più che roseo, direi verde. Sarò scettica ma la domanda mi nasce spontanea: si tratta di vero interesse, stiamo rivalutando consumi e mentalità oppure al momento l’attenzione a una nuova visione di bellezza virtuosa è data solo dalla leva del marketing?
Di fronte a una scelta
Nella giungla cosmetica a volte è difficile orientarsi. Prodotti: naturali, bio, organici, ecologici, senza questo o quello, ecc, sono un trend in crescita continua, attraendo il consumatore – dal più informato al modaiolo. Come sempre un nuovo trend va analizzato, capito. Siamo finalmente una società attenta e consapevole, o la scelta green finisce semplicemente nel momento in cui evitiamo certi ingredienti? Nell’accingerci all’acquisto, possiamo limitarci a leggere i “senza” in etichetta; evitare alcune sostanze sospette nel cosmetico come nella vita; affidarci alle certificazioni… Oppure la sostenibilità, quella vera, è un qualcosa di più grande che forse al momento ci sfugge?
Se ci basiamo sugli ingredienti, la loro percentuale in formula e la loro derivazione definiscono se il prodotto è naturale o bio. Ed ecco una prima, fondamentale distinzione: ci sono infatti persone attente – nella cosmesi come nella dieta – non solo alla provenienza delle piante ma anche alle tematiche ambientali, persone alle quali un INCI green non basta; gli ingredienti naturali devono essere provenienti da agricoltura biologica ed estratti con metodi non inquinanti e da fonti rinnovabili. Basandoci sulla certificazione, siamo sicuri che vengano rispettati i parametri ma ogni ente certificatore ha la sua classificazione – secondo i propri disciplinari – ed è arduo tentare di fare una semplificazione. Al di là di regole e criteri, quello che traspare è una sorta di odio verso gli ingredienti cosiddetti “artificiali”, benché cosa essi siano e come vengano prodotti spesso non lo sappiamo. Anche la natura ha i suoi problemi o meglio, sfruttandola all’osso, comincia a manifestarne sempre di più. Da segnalare, ad esempio, in questo contesto: le piante OGM o gli ingredienti derivanti dalle più recenti tecniche di selezione vegetale, in inglese conosciute con l’acronimo di NPBT (New Plant Breeding Techniques).
NATRUE – uno dei più accreditati enti certificatori) chiede che gli NPBT vengano incorporati nella legislazione sugli OGM in quanto rappresentano di fatto un’alterazione delle caratteristiche di una pianta. Come capite la questione è aperta, il tema andrebbe trattato da un punto di vista molto più ampio, dovremmo porci domande sull’impatto ambientale che hanno le nostre scelte: siamo così sicuri che sia sempre più ecologico usare prodotti naturali piuttosto che produrli da chimica verde? Spesso non sappiamo realmente cosa impoverisce meno il pianeta o cosa inquina maggiormente.
Percorsi di sostenibilità
È forse questa la chiave di lettura del nuovo consumatore consapevole: ci siamo accorti che evitare certi ingredienti non basta, bisogna invece tendere a una sostenibilità vera, partendo sicuramente dal consumare meno, scegliendo prodotti di maggiore qualità. Non facciamo confusione: naturalità non è sinonimo di sostenibilità. La sostenibilità è una strada in salita, ma possiamo farcela: dobbiamo ragionare sulle plastiche sia come ingredienti sia soprattutto come pack, impiegando meno imballaggi. Alcune aziende stanno già attuando valide iniziative in questo senso, sensibilizzando il consumatore e usando packaging ridotti (no astucci, no rivestimenti di plastica, no bombole), altre si spingono all’utilizzo di plastiche riciclate od ottenute da bioplastica. Se ci interessa il vero green, questo deve andare a braccetto con la sostenibilità. Dobbiamo quindi chiederci se l’azienda produttrice è veramente un’azienda etica, attenta all’ambiente, che non sfrutta ingredienti che provengono da lavoro minorile, che cerca di minimizzare l’impatto dei suoi processi produttivi usando lavorazioni a freddo, pack ridotti e riciclati (no a overpackaging, involucri e imballi secondari, che spesso finiscono per essere gettati subito dopo l’acquisto).
Il terrorismo dei “senza” credo sia finito, ora auspico una nuova era: quella dei “con”. Con ingredienti che rispettino veramente la terra e che non promuovano depauperamento delle risorse, ambientali e umane. Ci potrebbe aiutare nella scelta una nuova certificazione, UEBT (Union for Ethical Biotrade), per l’approvvigionamento rispettoso delle materie prime. UEBT è un’organizzazione senza scopo di lucro che fornisce uno standard riconosciuto a livello mondiale. La nuova certificazione, che non comprende solo la cosmetica, aiuta i consumatori a riconoscere che acquistano prodotti da un’azienda che rispetta le persone e la biodiversità.
La sostenibilità abbraccia molti aspetti e riguarda tutti i processi produttivi: dalla scelta degli ingredienti alla produzione, alla distribuzione e fino alla biodegradabilità delle confezioni e al loro riciclo. Oggi pretendiamo un nuovo passo, un INCI ben fatto non basta più; vogliamo rispetto, in una parola: sostenibilità. In conclusione, vi dò una bella notizia: in Italia abbiamo tante aziende, piccole e medie, condotte da brave persone che studiano e si impegnano per cercare di creare prodotti belli e buoni, come direbbe Platone, in una nuova ricerca della kalokagathia.